20 Gennaio 2022

Autore:  Armando Cavaliere

Cassazione penale, Sez. VII, Ordinanza del 19.11.2021 (dep. il 26.11.2021), n. 43883.

Con la L. n. 134 del 27 Settembre 2021, pubblicata in G.U. il successivo 4 Ottobre ed entrata in vigore il 19.10.2021 (dopo l’ordinario periodo di vacatio legis), è stata approvata la c.d. Legge Cartabia di riforma del Codice penale sia sostanziale sia di rito oltre che delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del Codice di procedura penale. La Legge è suddivisa in due parti: la prima contiene un’ampia delega al Governo perché prosegua l’attività di riforma anche dell’Ordinamento giudiziario in materia di progetti organizzativi delle Procure della Repubblica, per la revisione del regime sanzionatorio dei reati e per l’introduzione di una disciplina organica della giustizia riparativa e dell’ufficio per il processo penale; la seconda, immediatamente operativa, tra l’altro, riguarda la disciplina della prescrizione e della neo introdotta improcedibilità attenzionata dai Giudici di legittimità nell’Ordinanza in esame, che rappresenta il primo provvedimento della S.C. ad occuparsi del nuovo istituto detto[1].

Ebbene, ciò che forse più ha fatto e fa discutere gli addetti ai lavori in relazione alla riforma è costituito, appunto, dalle nuove previsioni di cui agli artt. 161 bis c.p. e 344 bis c.p.p.: con la prima previsione cessa il decorso della prescrizione con la Sentenza di primo grado (sia essa di proscioglimento – volendo ritenere che si applichi anche ai casi di Sentenza di non luogo a procedere oppure di non doversi procedere oltre a quelle di assoluzione – ovvero di condanna); con la seconda si cadenzano i tempi (due anni in appello e uno in cassazione[2] dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine di cui all’art. 544 c.p.p. eventualmente prorogato secondo l’art. 154 disp. att. c.p.p. per il deposito della Sentenza; non senza critiche già da parte di ampia parte della dottrina prorogabili da parte del Giudice procedente, anche più volte ed entro limiti complessivi in determinati casi, per particolari ragioni; sospesi in certe circostanze; rimodulati diversamente per il periodo transitorio nei casi in cui l’impugnazione, alla data di entrata in vigore della Legge, sia già pervenuta[3] al Giudice dell’impugnazione ovvero quando sia proposta entro il 31.12.2024 e di annullamento con rinvio) dei giudizi di impugnazione ordinari, con effetti di improcedibilità dell’azione penale in caso di loro superamento.

Prescrizione e improcedibilità rappresenterebbero, per la riforma, due orologi: una è l’estinzione del reato, l’altra del processo. La prescrizione temporale – come già dicevamo sopra – cessa con la Sentenza di primo grado. Insomma, oggi non è neanche più sospesa (come prevedeva invece già prima la riforma Orlando – che resta applicabile per i reati consumati prima del 01.01.2020 – per il caso di Sentenza di condanna[4], e dopo ancora la riforma Bonafede a seguito della Sentenza di primo grado sia di condanna sia di assoluzione e fino al passaggio in giudicato del provvedimento che definiva il processo): dopo questa non se ne può parlare più.

Ora, nel caso de quo, la Corte di Appello, con Sentenza del 19.09.2019, aveva confermato il provvedimento di primo grado col quale l’imputato era stato condannato per i reati di atti persecutori (stalking), di lesioni e minacce. In particolare, però, a seguito del ricorso, veniva depositata memoria sempre dal difensore dell’imputato, con la quale veniva richiesta la declaratoria di improcedibilità ai sensi dell’art. 344 bis c.p.p., commi 2 e 3, introdotto dalla L. 134 del 2021, art. 2, comma 2, per essere decorso un anno dai 90 giorni successivi al termine per il deposito della sentenza impugnata. Inoltre, veniva proposta questione di legittimità costituzionale dell’art. art. 2, comma 3, L. 134 del 2021, sostenendo che il nuovo istituto della improcedibilità avrebbe natura sostanziale e non processuale[5], con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di prevedibilità della sanzione e retroattività della norma più favorevole al reo. Ciò nonostante, il predetto comma 3 ha previsto che le disposizioni relative al nuovo istituto “si applicano ai soli procedimenti di impugnazione che hanno ad oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020”. Limitare l’efficacia nel tempo di uno strumento che viene pensato come garanzia di un principio fondamentale, come quello della ragionevole durata del processo, integrerebbe – secondo il deducente – una violazione dell’art. 3 Cost., norma dal quale trae fondamento, tra gli altri, il principio di diritto penalistico del favor rei, nonché degli artt. 25 e 111 Cost.

Rispetto alla irretroattività di questa previsione, per la verità, sembra già possa affermarsi che si discuterà ancora molto fra chi continuerà a sostenere che l’improcedibilità sia uno strumento di natura processuale, regolato quindi dal principio tempus regit actum, come peraltro la stessa Legge pare proprio riconoscere espressamente quando stabilisce che si applica solo ai reati commessi dal 1° gennaio 2020 oltre al fatto che ad essa non sarebbe estensibile per analogia l’art. 129, comma 2, c.p.p. che riguarda le cause di estinzione del reato, e coloro i quali attribuiscono alla stessa effetti di natura sostanziale – id est l’azzeramento dell’accertamento – e che, conseguentemente, sosterranno invece la retroattività. Si tengano poi presenti anche aspetti mutuati dalla prescrizione quali la possibilità di rinuncia da parte dell’imputato, la mancata applicabilità ai procedimenti per delitti puniti con l’ergastolo anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti.

Orbene, nonostante abbiano dichiarato l’inammissibilità del ricorso, in relazione alla valutazione della non manifesta infondatezza della q.l.c. avanzata i Giudici di Piazza Cavour sostengono (punto 4.3) un orientamento negativo evidenziando che la modulazione del regime transitorio previsto dalla L. 134 del 2021 risponderebbe: i) all’esigenza di coordinamento con quanto previsto dalle precedenti riforme (si veda la L. n. 3 del 2019, c.d. riforma Bonafede, che stabiliva la limitata retroattività delle disposizioni di cui all’art. 1, comma 1, lett d)e) ed f) – relativi alla modifica della disciplina anche dei termini di sospensione della prescrizione nei giudizi di impugnazione – ai reati commessi a far data dal 1 Gennaio 2020); ii) alla necessità di introdurre gradualmente nel sistema processuale un istituto così radicalmente innovativo, sicché avrebbe la sua ragionevolezza la previsione di un periodo finalizzato a consentire un’adeguata organizzazione degli uffici giudiziari. Sommessamente, però, potrebbe ritenersi che una ragione come quella ultima riportata, più della prima, potrebbe non giustificare la mitigazione del principio della lex mitior: potrebbe dubitarsi dunque che la mancata preparazione dal punto di vista organizzativo da parte degli Uffici giudiziari ad accogliere una riforma e gli aspetti di questa favorevoli al reo debba ricadere con effetti negativi su questo; ciò anche sulla base di quanto considerato dalla Consulta nelle decisioni n. 393/2006, n. 72/2008, n. 236/2011 secondo cui lo scrutinio di costituzionalità ex art. 3 Cost., sulla scelta di derogare alla retroattività di una norma penale più favorevole al reo, deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo a tal fine sufficiente che la norma derogatoria non sia manifestamente irragionevole.

Inoltre, comunque, non trascura la Corte di cassazione che, per i reati commessi prima del 1° Gennaio 2020 non opera la normativa della citata L. n. 3 del 2019, relativa alla sospensione del termine prescrizionale dopo la Sentenza di primo grado, per cui non può ritenersi che vi sia una disparità di trattamento ingiustificata tra soggetti che si trovano nella medesima situazione. Per i reati precedentemente commessi, quindi, continua ad operare, anche in appello e cassazione, il rimedio della prescrizione del reato – Orlando o ex Cirielli[6] – a garanzia della fine del processo. Si ricorda, al riguardo, quanto espresso nella Relazione dell’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione n. 60 del 03.11.2021 (par. 18, pag. 33) laddove si considera che la norma che stabilisce il regime transitorio della nuova improcedibilità, dunque, “realizza una ideale saldatura tra la disciplina della prescrizione “sostanziale” e quella della c.d. “prescrizione processuale” individuandone un medesimo ambito di operatività con riferimento ai soli giudizi in cui, per effetto della riforma e, soprattutto, dell’introduzione dell’art. 161-bis cod. pen., la prescrizione non può più essere dichiarata nel giudizio di impugnazione”. Ancora, l’applicazione della improcedibilità processuale ai reati commessi prima del 1° Gennaio 2020 determinerebbe una commistione tra i termini di prescrizione e termini di improcedibilità anche nei giudizi di appello e cassazione, con conseguenti problemi di compatibilità e prevalenza dell’uno sull’altro. Ciò conforta anche la tesi della natura processuale dell’istituto: si rinviene la ratio ispiratrice nell’esigenza di garantire all’imputato, una volta interrotta la prescrizione secondo la riforma c.d. Bonafede (L. n. 3/2019) ex art. 1, comma 1, lett. e), n. 1, per i reati commessi dal 1° Gennaio 2020, la ragionevole durata del processo attraverso l’individuazione di termini precisi entro i quali deve chiudersi il giudizio di impugnazione in ciascuna fase.

In relazione invece alla valutazione di rilevanza della medesima q.l.c. proposta rispetto al caso sottoposto alla sua attenzione, La S.C. (al punto 4.2) precisava che questa non sussistesse per la circostanza che non fosse comunque ancora decorso il termine di un anno dal 19 Ottobre 2021 (data di entrata in vigore della riforma) per la declaratoria di improcedibilità, come previsto per i giudizi in cassazione dalla normativa transitoria per l’applicazione dell’art. 344 bis c.p.p. (art. 2, comma 4, L. 134/2021): per i procedimenti di impugnazione nei quali, alla data di entrata in vigore della Legge, siano già pervenuti alla Corte di cassazione gli atti trasmessi ai sensi dell’art. 590 c.p.p., la L. n. 134 del 2021, all’art. 2, comma 4, prevede che i termini di durata del giudizio di cassazione decorrano dalla stessa data (di entrata in vigore).

Di certo, restano aperte anche moltissime altre questioni in merito a questo nuovo istituto, tra tutte quella del coordinamento con gli artt. 604 e 623, comma 1, lett. d), c.p.p.

[1] Si veda anche la precedente Ordinanza della Corte di Appello di Napoli del 18.11.2021, nell’ambito del proc. pen. n. 14095/2019 R.G. App.

[2] Non a caso in modo corrispondente a quanto previsto dalla L. n. 89 del 24 Marzo 2001, c.d. Pinto.

[3] Ne consegue che per gli atti di impugnazione che, alla data di entrata in vigore della legge, siano stati presentati ma non ancora trasmessi secondo l’art. 590 cod. proc. pen. al Giudice dell’impugnazione, il termine di durata del giudizio di impugnazione non dovrebbe decorrere dalla data di entrata in vigore della Legge, bensì dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine per il deposito della Sentenza ai sensi dell’art. 344 bis, comma 3, c.p.p. stando l’introduzione dell’art. 161 bis c.p. che interrompe definitivamente il termine della prescrizione con la pronunzia della Sentenza di primo grado.

[4] Fino alla lettura del dispositivo della Sentenza d’appello e comunque fino ad un massimo di 18 mesi dalla scadenza del termine per il deposito delle motivazioni di primo grado. All’esito del giudizio d’appello la riforma Orlando prevede che: i) in caso di proscioglimento, o dichiarazione di nullità con rinvio al giudice di primo grado (ex art. 604, commi 1, 4 e 5 bis c.p.p.), non solo non scatta alcuna nuova sospensione della prescrizione, ma, ai sensi dell’art. 159 comma 3, c.p. viene meno ex tunc anche l’eventuale sospensione precedentemente maturata: dunque il tempo trascorso tra il termine per il deposito delle motivazioni di primo grado e il dispositivo d’appello (o comunque un tempo pari a 18 mesi) torna ad essere rilevante per la maturazione della causa estintiva; ii)  in caso di condanna, invece, fermo restando che l’eventuale precedente parentesi sospensiva è salva, la prescrizione ricomincia nuovamente a decorrere ex art. 160 c.p. ed il suo decorso resta poi sospeso a partire dalla scadenza del termine fissato per il deposito delle motivazioni d’appello fino al dispositivo della sentenza di Cassazione (o finché siano trascorsi 18 mesi).

[5] Si segnala, però, “Irretroattività e regime transitorio della declaratoria di improcedibilità (l. n. 134/2021)”, Prof. Giorgio Spangher, giustiziainsieme.it.

[6] Si segnala “Riforma Orlando: la nuova prescrizione e le altre modifiche al Codice penale”, par. 2.6, Stefano Zirulia, in archiviodpc.dirittopenaleuomo.org.

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Modificato: 21 Marzo 2023