21 Febbraio 2022
Autore: Armando Cavaliere
l presente contributo non ha alcuna presunzione di completezza ed esaustività, considerato che al momento della sua stesura e pubblicazione non si ha la Sentenza della Consulta relativa all’inammissibilità del referendum sull’omicidio del consenziente, ma si ritiene che tutto quanto, dalla proposta alla decisione (e oltre, per come si dirà), abbia offerto già molti spunti di riflessione su diverse questioni.
Com’è noto, in Italia, l’eutanasia attiva è vietata sia nella versione diretta[1] – quando il decesso è provocato ad es. tramite la somministrazione di una dose mortale di veleno mirata a ridurre le sofferenze della persona che ne faccia richiesta – sia indiretta[2] – quando ad es. l’agente prepara il farmaco utile ad alleviare la sofferenza che viene assunto autonomamente dalla persona –, fatte salve le scriminanti introdotte dalla Corte costituzionale con la Sentenza n. 242 del 25.09.2019 (depositata il 22.11.2019) in relazione al caso Cappato[3]. Forme di eutanasia c.d. passiva, ovvero praticata in forma omissiva, ossia astenendosi dall’intervenire per tenere in vita il paziente sofferente, non sono invece punite penalmente, soprattutto quando l’interruzione delle cure ha come scopo di evitare il c.d. accanimento terapeutico, e sono state positivizzate dalla L. n. 219 del 22.12.2017 (l’unica in materia di fine vita).
La citata Sentenza della Corte costituzionale del 2019, vista con favore ponendosi questa con maggiore attenzione verso l’autonomia delle persone rispetto alla normativa fino ad allora, ha però ancora limiti importanti, che derivano anche dal fatto che essa si è riferita alla sola ipotesi di suicidio assistito, senza considerare quella “confinante” dell’omicidio del consenziente. Secondo autorevole dottrina, la differenza tra le due fattispecie di reato sarebbe da considerarsi in verità marginale e irrilevante quanto ai valori e libertà in gioco, legata come è a dettagli esecutivi: nella prima fattispecie si richiede che l’atto finale (come bere il veleno mortale ovvero schiacciare con i denti il pulsante che attiva l’introduzione della sostanza venefica) venga compiuto da chi vuole morire e non dal terzo che lo assiste. Ma quando è accertata la consapevolezza e la libertà di chi si trovi in determinate condizioni ed ha deciso di morire, e – si aggiunge – anche considerando da chiunque sia partita l’iniziativa[4], tale differenza non ha rilievo rispetto all’autonomia della persona nel decidere come e quando morire. Insomma, vi sarebbe una forte ipocrisia nel distinguere le due ipotesi.
Ora, sulla G.U. n. 95 del 21.04.2021 veniva pubblicato l’annuncio di una richiesta di referendum abrogativo (21A02408) ex artt. 7 e 27, L. n. 352 del 25.05.1970. Quindici cittadini italiani, muniti dei certificati comprovanti la loro iscrizione nelle liste elettorali, avevano manifestato la volontà di promuovere la raccolta di almeno 500.000 firme di elettori, prescritte per la richiesta di referendum di cui all’art. 75 Cost. per il seguente quesito referendario: «Volete voi che sia abrogato l’art. 579 del codice penale (omicidio del consenziente) approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, comma 1 limitatamente alle seguenti parole “la reclusione da sei a quindici anni.”; comma 2 integralmente; comma 3 limitatamente alle seguenti parole “Si applicano”?».
In breve, la norma avrebbe subito una modifica nel senso che segue:
«Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni.
Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61.
Si applicano le disposizioni relative all’omicidio [575-577] se il fatto è commesso:
- Contro una persona minore degli anni diciotto;
- Contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;
- Contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno [6132]».
L’iniziativa era dunque diretta ad abrogare parzialmente la previsione di cui all’art. 579 c.p. e – secondo quanto riportato anche dal sito web del Comitato promotore – a consentire l’eutanasia attiva nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico, ed in presenza dei requisiti introdotti dalla Sentenza della Consulta sul caso Cappato, ma continuava a ritenere punito il fatto commesso contro una persona incapace o contro una persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia o suggestione ovvero contro un minore di diciotto anni.
Ebbene, ad esito del procedimento di cui agli artt. 32 e 33, L. n. 352 del 25.05.1970, lo scorso 15.02.2022, l’Ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale ha informato che lo stesso Giudice delle leggi, nella camera di consiglio riunitasi in pari data, ha dichiarato inammissibile il referendum; ciò “perché, a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”.
Adesso, l’art. 75, comma 2, Cost. sancisce che “Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali” ed alle obiezioni già mosse da alcuni circa la tassatività di tale assunto (che avrebbe portato a non comprendere la decisione di inammissibilità), già altri hanno ritenuto – si considera a ragione – di sottolineare che la stessa Corte Costituzionale ha nel tempo elaborato una serie di ulteriori limiti impliciti all’ammissibilità del referendum partendo dall’idea per cui essi andavano ricavati in modo sistematico dall’intero quadro costituzionale ed ha individuato i requisiti dell’oggetto del referendum (quali omogeneità, puntualità, concretezza ed intellegibilità)[5]. Considerando come la norma sarebbe stata modificata ad esito positivo del referendum, è vero che i Giudici costituzionali nel caso di specie sono andati ad esaminare una eventuale normativa “di risulta”, col rischio di fare considerazioni completamente avulse dal contesto di ammissibilità, ma l’inammissibilità del referendum avente ad oggetto disposizioni costituzionalmente o comunitariamente necessarie non discende dalla natura della legge, ma anche dalla valutazione circa l’idoneità o l’inidoneità della normativa cosiddetta di risulta a soddisfare, in attesa di un intervento legislativo, il contenuto minimo disposto dalla Costituzione o dall’ordinamento comunitario. Si tenga sempre in mente il bene primario oggetto del referendum: la vita e l’autonomia di decisione su questa che, necessariamente (e giustamente) deve avere un minimo di tutela che vada oltre i casi in cui si fosse rimasti nell’alveo della fattispecie di reato, come fatto per il caso del dj Fabo in relazione all’art. 580 c.p.
Così appare giustificabile una decisione di inammissibilità.
Successivamente, ha colpito e fatto discutere sicuramente la non comune – ed apprezzata da chi scrive – conferenza stampa che il Presidente della Consulta, oggi Giuliano Amato, ha voluto tenere in ragione del risultato plurimo – ricordiamo che la Corte costituzionale è stata chiamata ad esprimersi su ben otto quesiti – che ha portato e desta certamente un fortissimo interesse sociale. Nell’ambito di questa, e con particolare riferimento al quesito referendario in commento, il neo Presidente ha voluto, prima di tutto, chiarire che – a dispetto della campagna referendaria – non si poteva parlare in verità di referendum sull’eutanasia in quanto questa riguarda quelle persone di cui il Giudice delle leggi si è occupato nella decisione sull’art. 580 c.p., ma era il caso di parlare di referendum sull’omicidio del consenziente. Andando ancora, come si suggeriva prima, a leggere come si sarebbe modificata in caso di approvazione della proposta referendaria, pare proprio che il Presidente Amato non abbia tutti i torti: il quesito apre all’impunità penale di chiunque uccide qualcun altro con il consenso, sia che soffra sia che non soffra. Occorre dimensionare il tema dell’eutanasia alle persone a cui si applica, ossia a coloro che soffrono.
Arrivando al voto, probabilmente l’elettore sarebbe stato portato a credere che l’oggetto del suo voto sarebbe stata (appunto) l’eutanasia, col rischio che si sarebbe stato legittimato l’omicidio del consenziente, andando così ben oltre i casi di eutanasia.
Se la richiesta referendaria fosse stata ora giudicata ammissibile e poi accolta dal Corpo elettorale, l’esito sarebbe stato insomma chiaro anche alla luce dei principi di tassatività e legalità che si impongono in materia penale e che renderebbero dunque impraticabile una interpretazione alternativa: la depenalizzazione dell’omicidio del consenziente, salvo i limiti indicati dalla disposizione concernenti la minore età, l’incapacità e il vizio del consenso.
Ai fini della valutazione degli effetti dell’abrogazione, risulterebbe altresì privo di alcuna rilevanza l’intento del Comitato promotore (specificato sopra). La volontà dichiarata espressamente dai proponenti per cui l’esito abrogativo del referendum avrebbe fatto venir meno il divieto assoluto dell’eutanasia e la avrebbe consentita limitatamente alle forme previste dalla Legge 219/2017, in materia di consenso informato non avrebbe avuto nessun peso in relazione all’interpretazione della norma di risulta[6].
Si sbilancia (e non poco si ritiene) poi il Presidente, per alcuni quasi in modo suggestivo:“Chi lo sa – dice – che presentandosi la questione, non sottoforma di quesito referendario, ma di legittimità costituzionale dell’art. 579 com’è, non sarebbe possibile trattarlo come abbiamo trattato il 580”.
Concludendo, in attesa del deposito della Sentenza, in mancanza di vedere come la Consulta possa veramente affrontare una q.l.c. sollevata in ordine all’art. 579 c.p., effettivamente si auspica un serio intervento del Parlamento in materia di eutanasia. Quest’ultimo intervento appare in realtà quello maggiormente desiderabile e rispettoso – oltre che di tutti i firmatari della proposta referendaria – di chi generi o comunque maturi, fermi i rigorosi e giusti requisiti che deve rispettare il consenso, e manifesti la propria volontà perché altri – magari in quanto neanche lui riuscirebbe – gli permettano di smettere di soffrire. Il Legislatore dovrebbe prendere atto di tutto quanto accaduto e decidere di trattare e risolvere una delle questioni di maggiore rilievo umano, forse lasciando per un po’ da parte questioni economiche.
[1]V. art. 579 c.p. rubricato “omicidio del consenziente”.
[2]V. art. 580 c.p. rubricato “istigazione o aiuto al suicidio”.
[3]In cui la Corte Costituzionale si era pronunciata nel senso di ritenere, nell’ambito del giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p., non punibile il comportamento di chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un i) paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e ii) affetto da una patologia irreversibile, iii) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma iv) pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
[4]Illuminante e degna di essere ricordata è la Sentenza n. 3147 del 06.02.1988 (depositata il 12.03.1988) della Sez. I della Corte di cassazione in cui veniva a sottolinearsi che si avrà omicidio del consenziente quando colui che provoca la morte si sostituisce in pratica all’aspirante suicida, pur se con il consenso di questi, assumendone in proprio l’iniziativa, oltre che sul piano della causazione materiale, anche su quello della generica determinazione volitiva; mentre si avrà istigazione o agevolazione al suicidio tutte le volte in cui la vittima abbia conservato il dominio della propria azione, nonostante la presenza di una condotta estranea di determinazione o di aiuto alla realizzazione del suo proposito, e lo abbia realizzato, anche materialmente, di mano propria.
[5]fin dalla Sentenza n. 16 del 02.02.1978 (depositata il 07.02.1978) ebbe luogo un cambio di orientamento che allargò in modo sostanziale l’ambito applicativo del giudizio di ammissibilità. Si segnala in merito, poi, La Corte costituzionale e i referendum abrogativi d’iniziativa popolare, di Alessandro Criscuolo.
[6]Corte cost., Sentenza n. 28 dell’11.01.2017 (depositata il 27.01.2017); Corte cost., Sentenza n. 27 del 12.01.2011 (depositata il 26.01.2011) secondo le quali la valutazione circa l’ammissibilità debba essere fondata esclusivamente sull’enunciato testuale del quesito e sulla «finalità incorporata» nello stesso, «obiettivamente ricavabile», requisito che rende «irrilevanti, o comunque non decisive» le intenzioni o dichiarazioni del comitato promotore
Modificato: 21 Marzo 2023