27 Marzo 2023
La I sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione è intervenuta, con le Ordinanze n. 4384/2022, n. 4748/2022, n. 4751/2022, n. 4763/2022, sull’annosa questione degli interessi da corrispondere in relazione ai buoni serie “Q/P”, negando ai sottoscrittori il diritto di vedersi corrispondere, per il periodo compreso tra il 21° ed il 30° anno dell’investimento, i rendimenti ad importo fisso bimestrale testualmente riportati a tergo dei titoli.
La portata di tali pronunce assume una rilevanza fondamentale per dirimere la quaestio iuris che da anni divide la giurisprudenza di merito e demolisce quanto, da sempre, sostenuto dall’Arbitro Bancario Finanziario, finanche in sede di Collegio di Coordinamento.
La vicenda nasce dalla facoltà, attribuita dal Decreto Ministeriale 13 giugno 1986 a Poste Italiane, di emettere buoni fruttiferi della nuova serie “Q” (con rendimenti inferiori) utilizzando moduli della precedente serie “P”, apponendo sul fronte di questi ultimi il timbro recante la dicitura “Q/P” e, sul retro, il timbro con l’indicazione dei nuovi tassi.
E qui il pasticciaccio.
Ai sensi dell’art. 5 del citato decreto ministeriale, infatti, i buoni emessi con i moduli della serie precedente dovevano essere considerati “a tutti gli effetti titoli della nuova serie ordinaria”; tuttavia Poste ha completamente omesso di modificare l’originaria indicazione dei tassi riportati a tergo del titolo per il periodo compreso tra il ventunesimo al trentesimo anno di vita, lasciando inalterata e ben visibile la promessa di rendimento originariamente riferita al buono fruttifero della serie P.
Propria tale “dimenticanza” ha ingenerato un forte contrasto di merito.
In particolare, l’Arbitrato Bancario Finanziario e gran parte della giurisprudenza di merito, hanno da sempre condannato la condotta tenuta da Poste Italiane, sancendo l’obbligo per quest’ultima di corrispondere quanto previsto dal timbro posto a tergo dei buoni “Q/P” per i primi due decenni e, per quanto riguarda l’ultimo decennio, la cifra maggiore stabilita dalla tabella stampigliata sul titolo, mai modificata e relativa alla vecchia serie “P”.
Tale orientamento affondava le proprie radici nella nota sentenza n. 13979/2007, pronunciata a Sezioni Unite dalla Suprema Corte di Cassazione, che sanciva – apparentemente in maniera granitica – il c.d. principio del legittimo affidamento del risparmiatore, in forza del quale, nella disciplina dei buoni postali fruttiferi, dettata dal testo unico approvato con il d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti; con la conseguenza che il contrasto tra le condizioni, in riferimento al saggio degli interessi, apposte sul titolo e quelle stabilite dal decreto ministeriale che ne disponeva l’emissione, doveva essere risolto dando la prevalenza alle prime.
A ciò si aggiungeva l’autorevole indirizzo del Collegio di coordinamento dell’Arbitrato Bancario Finanziario che nella decisione n. 5674/2013 aveva modo di confermare che, fatta eccezione per l’attribuzione alla parte pubblica dello jus variandi dei tassi di interesse mediante decreti ministeriali successivi all’emissione, il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti, sicché se si può ammettere che le condizioni del contratto vengano modificate (anche in senso peggiorativo per il risparmiatore) mediante decreti ministeriali successivi alla sottoscrizione del titolo, si deve invece escludere che le condizioni alle quali l’amministrazione postale si obbliga possano essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto stesso della sottoscrizione del buono, di guisa che qualora il decreto ministeriale modificativo dei tassi sia antecedente alla data di emissione del buono fruttifero, si deve ritenere ingenerato un legittimo affidamento del cliente sulla validità dei tassi di interesse riportati sul titolo e che tale affidamento, come affermato nella citata sentenza n. 13979 del 15.06.2007, debba essere tutelato, dovendosi, in tal caso, essere applicate al possessore del titolo le condizioni riprodotte sul titolo stesso.
Tale indirizzo peraltro veniva ulteriormente corroborato, nuovamente, dalle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 11.2.2019, n. 3963) e dal Collegio di Coordinamento dell’Abf (decisione d N. 6142 del 03 aprile 2020) che, pur affermando l’esposizione del sottoscrittore alle variazioni, anche peggiorative, del saggio di interesse già accordato ai titoli sottoscritti, per effetto di decreti ministeriali, ne limitavano l’efficacia temporale, restringendola ai soli provvedimenti successivi alla sottoscrizione e non anche all’ipotesi di un provvedimento ministeriale antecedente alla sottoscrizione.
Tesi sino ad oggi minoritaria era invece quella che sosteneva l’impossibilità di riconoscere a sottoscrittori di buoni fruttiferi della serie “Q/P” qualsivoglia tipo di affidamento, non potendo il risparmiatore serbare alcun dubbio circa l’entità degli interessi da corrispondere. Questi, per vero, non potevano essere diversi da quelli di cui al D.M. istitutivo dei buoni della nuova serie “Q”, le cui norme ai sensi dell’art. 1339 cod. civ. erano da ritenersi etero-integrative e tali da definire il contenuto del rapporto contrattuale instaurato tra il sottoscrittore e l’intermediario.
La Corte di Cassazione con le quattro Ordinanze del 2022 ha definitivamente posto fine al contrasto interpretativo, sancendo – di fatto – la correttezza dell’impostazione assunta dalla giurisprudenza minoritaria.
La Prima Sezione ha infatti ritenuto che nel caso dei buoni fruttiferi “Q/P” non può essere invocato il principio del legittimo affidamento, così per come richiamato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 13979/2007, rigettando la censura che evidenziava come i buoni non fossero stati oggetto di uno ius variandi operante ex post, poiché emessi nel novembre 1986 e dunque in epoca successiva all’emanazione del DM 13.6.1986.
Ciò per due ordini di ragioni.
In prima battuta, perché l’art. 173 DPR 156/1973 (c.d. “Codice postale”) all’epoca vigente, recava una disposizione cogente, con la consequenziale decretazione ministeriale, destinata a sostituirsi a clausole difformi ai sensi e per gli effetti dell’art. 1339 cod. civ., val quanto dire che il risparmiatore, al momento della sottoscrizione, era perfettamente consapevole della tipologia di buono sottoscritto, essendo stati apposti tutti i timbri previsti, così come aveva modo di conoscere gli interessi relativi all’ultimo decennio, semplicemente consultando le tabelle allegate al D.M. del 1986, “automaticamente” sostitutive del saggio di interesse ripotato a tergo del titolo.
In seconda battuta, perché – come anticipato – il legittimo affidamento è da ritenersi elemento estraneo alla vicenda in esame, in quanto i moduli della serie P, utilizzati come buoni Q/P, non conterrebbero una previsione di applicazione dei tassi di cui ai buoni della serie P.
Le ordinanze si pongono, a parere di chi scrive, in aperto contrasto con i principi di diritto elaborati dalla sapiente giurisprudenza di merito e di legittimità, non condividendosi affatto le argomentazioni poste a sostegno dell’automatica operatività dell’art. 1339 c.c. a scapito di quella di cui all’art. 1342 c.c., a mente del quale le clausole aggiunte al modulo prevalgono su quelle originarie ove incompatibili, di talché per il periodo relativo all’ultimo decennio di maturazione del titolo, devono necessariamente essere riconosciuti gli importi della precedente serie P, pattuiti tra sottoscrittore e intermediario e non modificati da quest’ultimo al momento del collocamento del titolo di legittimazione.
Modificato: 27 Marzo 2023